Perché non mi ami?

Perché non mi ami?

È la domanda di molte donne e di molti uomini. Come fronteggiare un rifiuto amoroso o un abbandono? Lo chiediamo all'esperta.

L’amore non ricambiato: quando una donna (o un uomo) subisce un rifiuto, si attivano dentro il suo cuore e dentro la sua mente una serie di processi che possono portare, dal lato sano, a un’immagine più matura di sé, da quello ‘buio’, sino alla depressione. Che tipo di dolore si origina dentro di noi? E come divincolarsi da un presente cristallizzato? Ce lo spiega la psicoterapeuta Silvana La Porta, esperta di problematiche legate alla sfera emotiva e alla dipendenza affettiva.

Sentirsi inferiori in amore

Quando ci si percepisce come “down” rispetto al “principe azzurro”
Non c’è differenza tra uomo e donna in un vissuto di sofferenza. Nel caso di un amore non ricambiato ci si scontra con un senso d'impotenza e d'inadeguatezza, ci si ritrova impossibilitati a cambiare lo stato di cose che ci fa soffrire, perché non dipende da noi.
Quando si è innamorati, si concepisce l’altro in modo idealizzato: l’unico partner al mondo che ci potrebbe rendere felici e, quando non si è ricambiati, di conseguenza, si svaluta se stessi. L’altro diventa troppo “meraviglioso” per meritarlo al proprio fianco, si pensa di essere non all’altezza e ci si percepisce come sotto, come “down”, ferendo la propria autostima. In realtà, non c’è nulla di più errato che idealizzare l’altro come “ principe azzurro” (o la più irraggiungibile delle principesse). All’inizio si parla d'infatuazione: quella condizione mentale che ci fa apparire l’altro come meraviglioso. Nel rifiuto, idealizzare ancora di più l’altro e desiderarlo in maniera ancora più forte perché assume le sembianze dell’irraggiungibile oggetto del desiderio. Tutto ciò non va bene: lasciamo andare e viviamo la nostra sofferenza per poi riuscire a ripristinare una visione più realistica dell’altro per recuperare la propria autostima.

Se ci innamoriamo di uomini impegnati facciamoci due domande

Il vuoto lasciato dalla sofferenza è naturale che ci sia. Ci sono diverse ragione che ci spingono a innamorarci di persone che non ci ricambiano ma, un conto è quando capita come singolo episodio, un altro se capita sempre: qui bisognerebbe rivedere i criteri perché potrebbe esserci un problema di autostima di fondo o una mancanza di affetto in famiglia, poiché si tende a cercare ciò che a noi è più familiare. Una donna che ha vissuto in una famiglia benestante, al quale nulla manca materialmente, ma decisamente povera dal punto di vista affettivo, ad esempio, finirà per cercare una persona che non sa dare affetto. Ciò avviene non perché la donna in questione non lo desideri chi non desidera l’amore? bensì perché, provenendo da un contesto anaffettivo, così come ha smesso di ricercarlo all’interno della famiglia, non lo cercherà più neanche nella figura maschile, per difendere il proprio io. Questo si traduce nell’innamorarsi di persone non disponibili affettivamente, siano esse impegnate fidanzate sposate -, o  single che non sono in grado di dare amore. E continuare a perseverare senza riuscire a divincolarsi. Se questa situazione si reitera, se continuiamo a innamorarci di uomini sposati o che sebbene liberi non ci sanno amare liberamente. Se questa situazione si reitera, se continuiamo a innamorarci di uomini non disponibili, lavorare su se stessi è l’unica strada possibile.

La speranza delusa in amore

Chi vive nella speranza rimane in qualche modo intrappolato nel tempo della propria mente, immaginando un futuro che non arriverà mai. Perché ci si comporta così? Come salvarsi da questo stato?

La sofferenza che scaturisce è una condizione normale, il pianto è purificatore, ha quella fondamentale funzione di pulire il corpo dalle scorie della sofferenza. Per ripartire bisogna concentrarsi sul proprio benessere, sulla cura di sé, senza ostinarsi, accettando nostro malgrado che l’altro non ricambia, altrimenti quella che è una sana sofferenza diventa fissazione.
Quando ci si ostina, si rimane intrappolati in un passato o in presente che non evolve. Si deve cercare di capire perché non si riesce a progredire e, se non si riesce da soli, chiedere aiuto a un professionista. A volte, lavorare con la persona che amiamo non aiuta e allunga i tempi – forse li blocca -. Allontanarsi per un periodo potrebbe invece funzionare, sebbene non sia sempre possibile. È importante accettare il sé: non c’è stato l’incontro sentimentale, ma non dipende da noi. Mettere sempre se stessi al primo posto è la regola, perché – è risaputo – solo amando se stessi si può amare l’altro. L’amore per se stessi è quello che durerà per tutta la vita, sottolinea la psicoterapeuta. Una persona che continua a rincorrere non fa altro che continuare a mettere l’altro dinnanzi a sé, praticamente non ama se stesso – magari non si vede neanche, vede solo l’amato lontano dal proprio cuore -. Il pianto che accompagna questo stato non è segno di debolezza e, insieme alla tristezza, aiutano a elaborare i vissuti per riuscire a maturare. Si può riuscire a ricostruire l’immagine di noi con una visione più reale. Ci si sente fragili ma si può scoprire di avere più forza di quanto si pensasse e, dopo il dolore, si potrà avere una visione di sé più matura nei suoi tratti.

Idealizzare l’immagine dell’altro

Un rifiuto può mutare l’immagine che si ha di sé mentre si idealizza l’immagine dell’altro? E come ripristinarla?

Quando si parte da un’autostima che è già bassa può essere pericoloso, perché si può instaurare un vissuto di depressione. La causa non è il rifiuto di per sé, bensì quella condizione reiterata nel tempo. Una persona che vive una situazione normale ha le risorse, se invece si ricade sempre nella stessa trappola e la nostra mente precipita nel buio, c’è una bassa autostima di base che va aggiustata.
La via da seguire è che quella di dedicarsi a cose che riguardano se stessi, che ci fanno bene e ci consentono di prenderci cura di noi, invece che inseguire l’altro. Il dolore va vissuto, non accantonato, ma il vissuto del fallimento non deve essere ridisegnare in modo distorto i tratti di ciò che siamo.
Anche in questo caso, così come quando si affronta la fine di un amore, la pratica del chiodo scaccia chiodo non è l’ideale. Prima bisogna lasciare andare l’immagine idealizzata dell’altro. Se quest’immagine non se ne va, si tratta di ostinazione. C’è una cristallizzazione che non va affatto bene per se stessi, non è sana.
Lo diceva anche il genio della lampada ad Aladino . “ Io non posso fare innamorare nessuno”. Non abbiamo il potere di lavorare sugli altri, non possiamo cambiarli, ma possiamo trovare aiuto per fare emergere le nostre risorse. Lo psicologo fa proprio questo: attiva le risorse dell’altro.
Dentro di sé regnano il vuoto e la solitudine quando si ama in maniera unilaterale. Sappiate che questa è una solitudine sana, perché l’altro effettivamente non c’è. Quando invece ci si sente soli in un amore reale, ricambiato, vissuto, ci sono le etichette ma non i fatti, la solitudine è ancora più profonda, si ha più dolore perché c’è l’aspettativa che l’altro sia presente. Allora sì che qualcosa non va.

Peggio essere abbandonati dopo aver amato realmente o essere rifiutati?

È differente, dice la psicoterapeuta. Dipende da come si è vissuta la relazione, se ha portato sofferenze forse sarebbe meglio che non ci fosse mai stata. Se invece ci ha permesso di crescere non si può dire cos’è meglio o cos’è peggio. Nel caso dell’incontro con un narcisista patologico – argomento che abbiamo affrontato – forse sarebbe meglio un rifiuto, data la devastazione che ne segue. Ma, dopo una forte sofferenza, chi riesce a riappropriarsi di sé avrà una consapevolezza maggiore e una nuova maturità.
Le grandi sofferenze in amore hanno il potere di restituirci parti di noi. Non è una banalità.

Articolo originariamente pubblicato su www.atuttamamma.net